Gli agenti segreti sono come la signora Fletcher: non vanno mai in vacanza - 3

22 agosto 2011

 

 

 

TERZO CAPITOLO

 

E Mac:

 

“Niente affatto! mi calerò io! la Pimpi, selvatica com’è, non si lascerà mai avvicinare da te!”

E così, dopo un notevole, piuttosto vivace e colorito scambio di opinioni, Mac vinse.

Prepararono due lenzuola di robusta flanella annodate. Cecco, preoccupatissimo, utilizzando la scaletta, vi appoggiò le lenzuola e ci si appese:
”Se reggono me, reggeranno anche te che sei più leggera!”

 

 

Intanto la povera Pimpi non si muoveva più e non miagolava più, forse stremata o forse ferita.

 

 

I due eroici scriteriati lanciarono le lenzuola fuori dalla finestra, le legarono alla ringhiera e l’azione ebbe inizio. Mac si sporse fuori dalla finestra intanto che Cecco il Grande ripeteva:


”Qui c’è da rompersi la schiena! Qui c’è da rompersi la schiena!”

 

 

Piuttosto agevolmente, invece, Mac riuscì a calarsi sul tetto di vecchi coppi sottostante ma, purtroppo, ivi giunta, scoprì che la Pimpi era sparita.

 

 

Nel buio più totale, senza lo straccio di una torcia, un’increspatura della copertura del tetto era sembrata la schiena della micetta acciambellata. Lei, invece, non era più in vista.

 

 

La povera Mac cominciò a vagare sui tetti sempre più disperata chiamando a gran voce la Pimpi con il Grande che urlava nella notte vellutata:


”Dove vai? Torna subito indietro! È pericoloso! Cadrai dal tetto! Si romperanno i coppi e rimarrai incastrata! I cocci dei coppi ti tranceranno l’arteria femorale! Si sfonderà il tetto e tu precipiterai nel vuoto! Ti sfracellerai sul pavimento e sporcherai tutto di sangue!”

 

 

Ma Mac:

 

“Ma va là! Son figlia di geometra, io! Cammino sui tetti da quando ero piccola!”

 

 

Insomma fini che, alle ore quattro e mezzo dopo la mezzanotte, Mac capitolò. E qui siamo al punto cruciale.

 

Mac lo sapeva: senza mantello, scarpe a molla, eccetera, per non far saltare la copertura, DOVEVA comportarsi come una vecchia babbiona cinquantacinquenne, un po’ molliccia e sovrappeso, non poteva, nel modo più assoluto, far sfoggio dei suoi muscoli elastici e guizzanti, di agilità e di ineffabile grazia.

 

Doveva, per forza, fingere di aver irrimediabilmente perduto le sue ben note abilità atletiche di gioventù e si apprestò, quindi, a risalire utilizzando le lenzuola come avrebbe fatto una qualsiasi mamma cicciottella, un po’ imbranata. E così infatti avvenne.

 

 

Finse di non riuscire ad issarsi, simulò qualche gemito, si aggrappò alle lenzuola puntando i piedi contro il muro come un geco e rimase lì per un po’, oscillando nel vuoto e invocando aiuto, precariamente appesa come un culatello a stagionare,  fingendo di soffocare i singhiozzi e di racimolare forza e coraggio.

 

 

 

 

Il povero Cecco, amaramente pentito di aver acconsentito a quella inconcepibile sconsideratezza, l’aiutava come poteva, si strappava i capelli sporto fuori dal verone come Giulietta, affannatissimo cercava di issare lenzuola e amica, roteava gli occhi al cielo, lanciava consigli quasi come Aldo, Giovanni e Giacomo:

 

 

“Appoggia il piede destro lì!”

 

 

“Ma lì dove? Aiutoooo!”

 

 

“Ma lì, su quel mattone a forma di vertebra di moffetta!”

 

 

“Cosa?”       

 

 

“Aggrappati a quel ferro lì!”

 

 

“Quale ferro?”


”Quello lì, vicino a te, che sembra un pèrone di cercopiteco!”

 

 

“Ma dove?”


”Ma lì. A ore dodici!”

 

 

“Eh? Ma cosa diavolo dici?”

 

 

“Lì, a ventisette virgola trentaquattro gradi Sud-Sud-Est!”

 

 

Il tutto condito con:

 

“Qui c’è da spaccarsi la schiena! STAI ATTENTA! Qui c’è da spaccarsi la schiena!”

 

 

 

(Continua al Capitolo 4.....)

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testo Maria Chiara Verderi

illustrazione e foto di Arabella Salvini